Il primo precario…

Precario. Una condizione di vita che sfugge alle dinamiche preordinate segnate dai percorsi conosciuti. Una condizione periferica, nel senso della lontananza dal conosciuto, dal centro, dalla classificazione .

Spesso si parla di identità e lavoro ma poche volte ci si ferma a pensare che oggi il lavoro non ha un’identità. Dall’800 si associa la parola centro al concetto di cuore pulsante, basti pensare al centro delle città. La mia generazione vive una condizione che supera quella di periferia urbana per confondersi con quella di periferia umana. Siamo la prima generazione che non può affermare di stare meglio rispetto a quella precedente. Le percentuali dovrebbero parlare da sé ma sono asettiche e rimandano al tema di fondo: la mancanza dell’identità. Non basta più annoverare che ormai l’80% dei giovani non hanno un lavoro stabile, a me non basta più.

Primo perché questo concetto di “gioventù” non può essere estendibile in eterno, secondo perché bisogna sottolineare che qui si parla di chi comunque un lavoro ce l’ha e non di chi non riesce a trovarlo, terzo perché queste persone che lavorano pur lavorando non sono portatrici di benessere.

Ma chi è il precario e perché la precarietà professionale è considerata una “periferia”, nel senso di lontananza dal centro, una “marginalità” rispetto ad una società che confonde la flessibilità con la precarietà e che riconosce identità, diritti e valore soltanto a chi “detiene” un posto fisso?

Tempo addietro mi sono imbattuta in una parola perfetta per definire quello che stiamo vivendo: cognitariato. Il precario in media in effetti è laureato, super qualificato, ha la specializzazione, spesso il master, parla almeno 2 lingue e sa usare il computer ma soprattutto ha un cv che sfiora (sempre in media) le 4 pagine, è flessibile per antonomasia, nel senso che è pronto a tutto perché vive nella consapevolezza di dover essere in grado di passare da un giorno all’altro da un ruolo semi dirigenziale a quello di cameriere. Tutto nel giro di una settimana.

E perché il precario non è considerato cuore pulsante di questo paese? Infondo è la sua parte più dinamica, più attenta ai cambiamenti, più sensibile all’innovazione anche se tutto questo avviene purtroppo per necessità poiché precari si è per obbligo e non per scelta

A chi insiste odiosamente nel cambiare la nostra splendida costituzione, i precari dovrebbero proporre un emendamento simbolico ma assolutamente veritiero, e intendo un emendamento all’articolo 1 che potrebbe essere così modificato: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro PRECARIO”. Perché questa è l’Italia e io, come canta Daniele Silvestri “Mi sono rotto, io mi sono rotto, non ho più voglia di abitare lo Stivaletto, non ha più senso rimanere grazie di tutto
Aspetto ancora fine mese poi mi dimetto. Tanto il mio lavoro è inutile, diciamo futile essenzialmente” rimovibile, sostituibile, regolarmente ricattabile”.

Musica consigliata per la lettura: “Precario il Mondo” – Daniele Silvestri – Tratto da S.C.O.T.C.H.: