Per me era un must. Sono sempre stata affascinata dalle tradizioni e dai tempi dell’Università, dopo aver sostenuto un bellissimo esame di Etnomusicologia, ho iniziato ad appassionarmi a maschere, marionette e ombre. La passione per le ombre ha giunto il suo apice con il viaggio in Indonesia dove ho avuto la possibilità di conoscere ed approfondire in maniera diretta l’antica tecnica delle ombre giavanesi (primo vero antenato  di quello che sarebbe diventato il cinematografo prima e il cinema poi).

Era quindi un vero e proprio imperativo quello di approfondire la storia dei Pupi sicialiani e soprattutto di andare a conoscere un puparo e a vedere uno spettacolo di qualità. L’ Opera dei Pupi è un particolare tipo di teatro delle marionette che si affermò stabilmente nell’Italia meridionale e soprattutto in Sicilia tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.
I pupi siciliani si distinguono dalle altre marionette essenzialmente per la loro peculiare meccanica di manovra e per il repertorio, costituito quasi per intero da narrazioni cavalleresche derivate in gran parte da romanzi epici e poemi del ciclo carolingio. Mai confondere la parola “marionette” con la parola “pupi”. Nella prima metà dell’Ottocento infatti in Sicilia un inventore (del quale putroppo non si conosce il nome) modificò la classica marionetta del Settecento (che veniva animata dall’alto per mezzo di una sottile asta metallica collegata alla testa attraverso uno snodo e per mezzo di più fili, che consentivano i movimenti delle braccia e delle gambe) facendo in modo che l’asta di metallo per il movimento della testa non fosse più collegata ad questa tramite uno snodo, ma la attraversasse dall’interno e, soprattutto, sostituì il sottile filo per l’animazione del braccio destro con la robusta asta di metallo, caratteristica del pupo siciliano. Questi nuovi espedienti tecnici consentirono di imprimere alle figure animate movimenti più rapidi, diretti e decisi, e perciò particolarmente efficaci per “imitare” sulla scena duelli e combattimenti, che tanta parte avevano nelle storie cavalleresche.

In Sicilia due differenti tradizioni, o “stili”, dell’Opera dei Pupi:
quella palermitana, affermatasi nella capitale e diffusa nella parte occidentale dell’isola, e quella catanese, affermatasi nella città etnea e diffusa, a grandi linee, nella parte orientale dell’isola ed anche in Calabria. Le due tradizioni differiscono per dimensioni e peso dei pupi, per alcuni aspetti della meccanica e del sistema di manovra.

La tradizione palermitana ha le seguenti caratteristiche:

  • Dimensioni dei pupi: da cm. 80 a un metro di altezza.
  • Peso: fino a Kg. 10.
  • Caratteristiche della meccanica: ginocchia articolate; se il pupo è un guerriero, la spada si può sguainare e riporre nel fodero.
  • Sistema di manovra: dai lati, a braccio teso: gli operanti sono posizionati dietro le quinte laterali del palcoscenico e poggiano i piedi sullo stesso piano di calpestio dei pupi. Mentre muovono i pupi gli operanti recitano.
  • Spazio scenico: superficie d’azione dei pupi più profonda che larga: la larghezza della scena è limitata dalla possibilità degli aoperanti di sporgersi dalle quinte senza farsi vedere dai lati.

Qui sotto potete vedere il retro del teatro per capire come funziona il lavoro dietro le quinte

 

pupi-dietro

Mentre qui sotto, grazie a Giulio, potrete capire la dimensione di un pupo siciliano

 

pupi grandezza

 
Le differenze principali della tradizione catanese sono: sicuramente il peso (i pupi possono pesare tra i 15 e i 25 Kg, le caratteristiche della meccanica (gambe rigide, senza snodo al ginocchio; se il pupo è un guerriero, la spada è quasi sempre impugnata nella mano destra) e il sistema di manovra (dall’alto di un ponte posto dietro i fondali  gli operanti sorreggono i pupi poggiando i piedi su una spessa tavola di legno sospesa a circa un metro da terra).

La mia ricerca di un vero puparo mi ha portato allo straordinario incontro con il maestro Vincenzo Argento che da ben 63 anni svolge sia il lavoro di puparo (cioè di chi costruisce i pupi) sia di operante (cioè chi fa lo spettacolo), seguendo un lavoro e una tradizione che sono appartenuti prima a suo nonno e a suo padre e che lui ha tramandato ai figli che lavorano con lui. Qui sotto lo vedete nella sua bottega/laboratorio

 

pupi 1

 

Al contrario di quello che in molti credono, lo spettacolo dei Pupi non è una forma di intrattenimento nata per i bambini, una volta infatti questi spettacoli erano frequentati da soli uomini. C’erano degli spettacoli per le donne, ma solo durante le festività religiose e trattavano storie sacre (e soprattutto caste). Infatti le storie normalmente raccontate in questi spettacoli parlavano di insanguinate e feroci battaglie, di tradimenti e di sesso. Il maestro Vincenzo Argento mi ha anche raccontato che oggi, però, al dialetto siciliano si preferisce l’italiano (mantenendo solo a volte la cadenza) proprio tenendo conto del fatto che a fruire degli spettacoli sono principalmente i turisti. Un tempo le storie venivano raccontate praticamente con cadenza giornaliera ed erano a “puntate”.

Per realizzare un pupo ci vogliono dai 20 ai 30 giorni di lavorazione a mano. Il tronco è di legno, le braccia (fino al gomito) sono di stoffa imbottita. La faccia è dipinta a mano (sono tutte diverse). I vestiti nel caso di Vincenzo sono realizzati dalla moglie Teresa, che sceglie principalmente velluti e sete come stoffe mentre le armature vengono realizzate da Vincenzo in alpeca e nichel con aggiunta di rame per le rifiniture.

L’Opera dei pupi siciliani, pur essendo stata riconosciuta dall’UNESCO nel 2001 come “Patrimonio dell’Umanità” e avendo grandi esponenti in vita (come il maestro Vincenzo argento che è stato invitato al Metropolitan Museum ) non viene supportata ed è una tradizione di bottega che va avanti solo grazie alla tenacia, alla passione di chi la tramanda ai propri figli. In effetti nel 2008 l’UNESCO ha iscritto l’Opera dei Pupi tra i “Patrimoni Orali e Immateriali dell’Umanità” (dopo averla originariamente proclamata Patrimonio nel 2001). È stato il primo Patrimonio italiano a esser inserito in tale lista.

Lo spettacolo è stato fantastico, emozionante, violento, divertente e il tempo è veramente volato. Un’esperienza fantastica. Quindi consiglio a tutti coloro che stanno pensando di andare a Palermo di passare alla bottega -laboratorio del Maestro Vincenzo Argento in Corso Vittorio Emanuele 445 e al Teatro in via Pietro Novelli 1 (praticamente davanti alla Cattedrale): non ve ne pentirete e imparerete moltissimo.