Il 3 ottobre 2013 è una di quelle date che non potrò mai dimenticare, una di quelle date che mi hanno fatto vergognare della mia impotenza, del mio essere italiana.Il 3 ottobre 2013 è successa quella che – dai media – viene definita “la più grande strage nel mare italiano dai tempi della guerra”: 368 migranti sono stati inghiottiti dal mare davanti all’Isola di Lampedusa.

Ormai il link tra Lampedusa e gli sbarchi (ma soprattutto le stragi) è pressoché immediato. Si sente Lampedusa e si pensa – in ordine sparso – a: disperazione, migranti, morte, CIE,sbarchi…

Fabrica, centro di ricerca sulla comunicazione parte del Benetton Group e UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), hanno deciso di lavorare sulle contraddizioni identitarie dell’isola e ieri hanno presentato il frutto di questa indagine: un libro fotografico, “Lipadusa, storie di vita e di mare”,  che racconta e, in un certo senso, celebra l’altro lato di quella terra isolata: mare, pesca, solitudine, collaborazione, gioco, infanzia, vecchiaia, generazioni.

La presentazione nella Sala Tempio di Adriano alla Camera di Commercio di Roma è stata commovente e partecipatissima.  Le testimonianze di migranti e lampedusani raccolte dalla giornalista Michela A.G. Iaccarino hanno accompagnato, grazie a degli attori, la presentazione del libro. Il progetto si chiama “Sciabica“, parola araba che significa “rete da pesca”, quella rete che nelle settimane dopo la tragedia ha intrappolato salvatori e vittime. Le fotografie di Calogero Cammalleri, migrante di ritorno nato a Lampedusa e tornatovi dalla Germania dopo 17 anni, accompagnate dai testi di Silvia Giralucci, sono intense, gridano vita dal loro bianco-nero forte, quasi la tecnica volesse rappresentare tutto il colore e la vita che viene compressa dai caratteri dei quotidiani. O almeno questo è il film che mi sono fatta io.