Una folgorazione. Io sono letteralmente impazzita per questo film che ha fatto incetta di Oscar in quest’ultima edizione 2020.

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Ben 4: Miglior Film, Miglior Regia, Migliore sceneggiatura originale e Miglior Film Internazionale, dopo essersi per altro aggiudicato la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2019. Un boom di premi. Un boom dentro di me.

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Parasite di Bong Joon-ho racconta una storia lineare che ne racchiude una molto più complessa, politica e contemporanea. Protagoniste due famiglie. Una povera (tutti disoccupati) composta da padre, madre e due figli che vivono in un seminterrato pieno di scarafaggi dove riuscire a rubare la connessione Whatsapp ai vicini è già un segno di miglioramento sociale e non riuscirvi è la sintesi dell’esclusione più totale.

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Delle creature del sottosuolo che per guadagnare qualcosa piegano e confezionano in casa le scatole della pizza mentre guardano con odio gli ubriaconi che gli pisciano sulle finestre o mentre lasciano le finestre aperte durante le disinfestazioni con la speranza che sterminino anche i loro scarafaggi.

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Il sottosuolo dunque L’inferno? No.

La seconda famiglia invece è ricca, ubicata in una casa da sogno realizzata da un importante architetto (che a me ricorda Rem Koolhaas, ma sono una profana e potrei sbagliare), tutto liscio, ligneo,perfetto, direi levigato, igienizzato, pulito, ma non armonico. Lui e lei evidentemente non si amano. Nel film ho assistito inorridita a una delle scene di sesso più brutte della storia. Ma non brutta perché girata male ma proprio brutta perché nessuno di noi vorrebbe mai farlo così. Marito bello, manager, assente che evidentemente non ama la moglie (lo si evince ben due volte). Moglie bella, esaurita, in colpa. Figlia in tempesta ormonale e bimbo caratterizzato da iperattivismo e da un trauma d’infanzia.

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La bellezza quindi il Paradiso? No.

Sono due mondi opposti che si incontrano nel geniale piano del primo nucleo che pian piano riesce a “trovare lavoro”, attraverso mille stratagemmi e sostituendo i precedenti lavoratori, nella casa dei ricchi come insegnante d’inglese, autista, arte terapeuta e governante.

Fin qui tutto ok, fantastico ai limiti della commedia e poi boom. Un’escalation di percorsi, sotterranei, di scale, di piogge quasi bibliche, che portano il film a toccare l’horror, il thriller, la tragedia senza mai cadere nello splatter ma tenendoci con il fiato sospeso fino alla fine.

Questo film è una forte denuncia sociale (dalla misura della povertà contemporanea quantificabile persino nella mancata connessione Internet) che ci butta in faccia la netta separazione tra superfluo ed essenziale e lo fa senza “bandiere” o stereotipi di lotta. Ma lo fa mostrando il disprezzo del ceto alto per i subalterni (mi ha colpito tantissimo il richiamo costante all’odore degli altri, dei poveri) e delle umiliazioni che questi sono costretti a subire (come il padre-autista costretto a vestirsi da indiano per la festa di compleanno del figlio). Una lotta di classe raccontata con gran classe (per giocare con le parole)

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Ma raccontata anche attraverso l’ingegno della classe “povera” e attraverso la sua filosofia di vita: “Che facciamo ora? Qual’è il nostro piano?” chiede la figlia al padre. Il padre risponderà successivamente al figlio:”Sai qual’è il piano che non fallisce mai? Non averne uno. Sai perché? Se ne escogiti uno, la vita non andrà mai a quel modo”. Quando ho sentito queste parole mi è venuta subito in mente una frase che avevo letto su Facebook trovandola geniale:” L’unica cosa che va secondo i piani è l’ascensore”.

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Consigliatissimo da Chiara GP!!!!!!!!!!!! Da vedere al Cinema!!!!!!!!!!! Evviva il grande cinema!!!!!!!!!!!!

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Ps: un ultima chicca/curiosità: nella colonna sonora del film è presente – in un momento decisamente topico – “In ginocchio da te” di Gianni Morandi (che in Corea del Sud è molto amato e conosciuto).

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