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Quando ho scoperto che l’argomento trattato questo mese da  E-zine era “(in the) flesh” ho volontariamente deciso di autoledermi . Mi sono infatti autoimposta di andare totalmente fuori tema. Un perdermi e ritrovarmi che non poteva non farmi riflettere su come la carne, (debole)  e il corpo (tremulo) siano stati molte volte teatro di messe in scena di denuncia e di contestazione nell’arte.  E per non parlare del cinema, nel quale questa messa in scena è stata portata all’ennesima potenza da quella forza selvaggia e irresistibile che abbatte ogni metafora irreale, ovvero dal riconoscere il potenziale te stesso dall’altra parte dello schermo.

E così ho sperimentato sulla mia pelle il fantastico e doloroso suggerimento di Claudio Calibotti. Ho visto The Big shave, un corto di 6 minuti girato da un giovanissimo Scorsese, dove ho scoperto la labile linea che unisce la realtà e l’irrealtà: (in the) flesh.

Un ragazzo, ( un’average joe tipicamente americano di carnagione bianca, corredato di viso comune, e anonimo) , entra in un bagno incredibilmente pulito e maniacalmente netto. Lentamente predispone il necessario e inizia a radersi la barba accompagnato dalle note un’allegra canzone anni ’50. La canzone, di Bunny Berigan, “I can’t get started” si diffonde e permea l’ambiente. La rasatura, a poco a poco, diventa sempre più brutale, compulsiva e ossessiva fino a quando  il ragazzo arriva a sfigurarsi totalmente perdendo parecchio sangue.

A descrivere così superficialmente questo cortometraggio, prodotto nel  ’67 per un corso  chiamato Sight & Sound Film alla New York University, mi sembra  di raccontare una storia splatter e niente più, ma io non voglio questo. Sarebbe come illudervi, sarebbe eticamente scorretto. Vi priverei della concreta, solida, soda e succosa chiave di volta per interpretare il messaggio segreto, sarebbe come non avervi portato la succulenta bistecca a tavola che avete ordinato.

La verità è che dietro a questi 6 minuti di rasatura surreali si nasconde tutta la potenza e potenzialità espressiva di Martin Scorsese che con un gesto di maestria ci rivelerà,  con la scritta “Viet ‘67” inserita nei titoli di coda e (che spesso risulta come titolo alternativo al corto), l’intento fortissimo di denuncia sociale e politica .

The Big Shave è un durissimo ed essenziale j’accuse alla follia del coinvolgimento americano in Vietnam. Una metafora che vede l’average Joe come vittima sacrificale di una guerra alienata e che, colto nell’atto intimo di guardarsi allo specchio, inizia a pesare la propria carne sulla bilancia della coscienza.. Un contradittorio con il proprio io talmente potente e onesto da portare il proprio corpo a rifiutare se stesso. Le proprie mani che attaccano il proprio volto fino a sfigurarlo e morire in un bagno di sangue.

La self-mutilation che si esplica sul suo corpo, la carne come espressione massima del rifiuto di una castrazione imposta dai poteri forti. Il suo è un gesto pressoché inconcepibile, intollerabile (visivamente, emotivamente etc.),  e così follemente insensato. Proprio com’è stata inconcepibile, intollerabile e insensata la Guerra in Vietnam che ha ucciso sull’altare sacrificale un’intera generazione di giovani americani.  Corto. Violento. Passionale. Cromaticamente perfetto. Se ce la fate guardatelo e pensateci su.

Giulio Castagnaro 

Sono nato a Roma nel 1984. Dopo il diploma di liceo classico ho frequentato il corso di Illustrazione e Animazione presso l’Isituto Europeo di Design, al termine del quale ho intrapreso la carriera di disegnatore.

Ho avuto diverse esperienze lavorative, tra cui collaborazioni con studi grafici, studi pubblicitari e riviste del settore.

Attualmente faccio parte di uno studio creativo (Studio Pilar) e collaboro con lo IED Roma nel ruolo di assistente del corso di illustrazione.

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