Edoardo di Silvestri non è un sognatore qualsiasi. Edoardo è un “fabbricante di sogni” che con incredibile coerenza, costanza e capacità sta percorrendo una strada tutta in salita contando su competenze conquistate sul campo: la strada della produzione cinematografica. E per farlo fino in fondo, Edoardo è partito per raggiungere il luogo dove le stelle del cinema brillano di una luce accecante: l’America. Lì l’ho raggiunto per una chiacchierata e per fargli un po’ di domande sul suo percorso, su ciò che ha alle spalle e sul tanto che c’è ad aspettarlo nel futuro. Edoardo è uno dei professionisti di questo settore con cui ho lavorato e lavoro meglio. Se vi capita di avere una produzione tra le mani non lasciatevelo scappare! Nel frattempo  ecco cosa ci siamo detti:
1. Il cinema è industria, questo è certo. Ma è anche magia, arte. Com’è stato il tuo passaggio dal mondo della consulenza aziendale a quello della pellicola?
E’ avvenuto tutto in maniera casuale, o meglio la volontà di intraprendere una carriera all’interno del settore cinematografico italiano è stata una scelta maturata con il tempo, ma con tanta determinazione e volontà. Dico casuale perché io non avevo nessun contatto o attinenza con il mondo “della pellicola” ed ho semplicemente mandato dei curricula a varie case di produzione e ho avuto la fortuna di intercettare l’iniezione delle riprese del film “la seconda volta non si scorda mai” diretto da F.R. Martinotti, e data la mia laurea in economia e le mie competenze in ambito manageriale mi hanno inserito nel reparto amministrazione film per fare la registrazione della prima nota e controllo del consuntivo settimanale del film. Dopo questo film è partito tutto, inizialmente portando le due professioni avanti parallelamente fino poi a scegliere definitivamente quella che per me rappresenta la passione, che mi da adrenalina ogni momento (sia quelli più duri che quelli più belli).
2. Quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato in Italia? E cosa ne pensi della situazione produttiva in Italia oggi?

La principale difficoltà che c’è in Italia è che questo settore, ma non è l’unico, è molto chiuso e clientelare. E’ molto più facile e probabile che tu posso cominciare una carriera in questo settore se sei un figlio d’arte e comunque se hai le conoscenze giuste. Diciamo che forse, magari non in  tutti i casi, quello che manca è la meritocrazia. Riguardo la situazione produttiva Italiana credo che in questi ultimo ventennio si sia un po’ abbandonata quella voglia di rischiare su progetti e autori nuovi con una visione diversa privilegiando dei format che riuscivano a produrre esclusivamente del box-office a discapito della qualità artistica. della creatività e di quei proditori indipendenti che invece il coraggio e la voglia di fare ce l’hanno ancora. Si parla sempre dell’assistenzialismo dello Stato alla produzione, oggi credo che sia pressoché impossibile realizzare un film senza la partecipazione del MIBAC (Direzione Cinema) in quatto questo genera un flusso economico di eventuali futuri benefici economici anche per i distributori, ma poi se il film non incassa c’è poco da fare. Purtroppo la triste situazione attuale di oggi è frutto delle male gestioni dei decenni passati e delle furberie di pochi. Il problema è che non si ritiene il cinema, e il settore della cultura più in generale, un centro di business è questa forse la ragione per cui poi non si è mai sviluppata una vera industria nel nostro paese. Il problema è di natura culturale.

3. Chi consideri tue fonti di ispirazione in questo mondo? E quali sono gli incontri che ti hanno permesso di comprendere che stavi intraprendendo la strada giusta per te?

Ci sono diverse figure che considero di ispirazione in questo lavoro ma sicuramente per quella più importante è Gianfranco Piccioli, produttore con il quale ho avuto modo di lavorare diverse volte e grazie al quale ho avuto modo di toccare con mano la giostra del cinema. Lavorando con lui ho avuto modo di seguire progetti dalla loro fase di sviluppo passando per la pre-produzione, produzione, post-produzione e lancio del film. Davvero una straordinaria scuola e palestra che mi ha permesso di approfondire tutti gli aspetti della filiera produttiva di una pellicola. Ci sono poi stati altri incontri importanti che se anche non mi hanno dato degli strumenti tecnici mi hanno dato altro, ad esempio l’incontro con Vincenzo Cerami, che incontrai casualmente nel 2009 e si discusse con lui di un mio progetto teatrale molto ambizioso in cui volevo lavorare sui metalinguaggi eliminando la parola, quindi musica danza immagine. Mi colpì la sua disponibilità nell’ascoltarmi e nel partecipare con entusiasmo a questa discussione dandomi molti consigli su come poter migliorare il tutto. Poi parlammo anche di cinema del percosso che stavo facendo e mi disse di non mollare, di guardare avanti con tenacia. Il caso ha voluto che esattamente un anno dopo mi ritrovassi a lavorare su un film scritto da lui e diretto da suo figlio Matteo, nel quale lui interpreto anche un piccolo ruolo davvero divertente.

4. Da cosa nasce e come si sviluppa il tuo progetto in America?

Il mio progetto americano nasce prima di tutto da una esigenza personale di mettermi in gioco a livello di vita e non solo professionale all’interno di un contesto culturale differente. A livello professionale perché qui esiste una vera industria e io voglio migliorare le mie competenze, capacità per poter finalmente diventare un produttore, ma anche perché nel nostro paese, che pur sempre amo per mille ragioni, è quasi impossibile per una persona come me che viene da una famiglia modesta, che non ha capitali a disposizione, poter aprire una società e avviare una carriera come produttore. Credo che ognuno di noi debba cercare di dare alla propria vita tutte le opportunità possibili per sentirsi realizzato e se in un luogo questo non lo si riesce a fare ci si sposta in un altro. Questa è la mia visione, non so ancora dove mi porterà questa esperienza e se mi stabilizzerò in America, magari tornerò e poi partirò per altre mete.
5. Come racconteresti il progetto su cui stiamo lavorando adesso?
Il progetto su cui stiamo lavorando è un film italiano, proprio a dimostrazione che no ho nessuna intenzione di tagliare i ponti con l’Italia. Si tratta di una commedia noir, un’opera prima che vedrà l’esordio alla regia di Riccardo Papa, un regista in cui credo molto e che ha già maturato una buona esperienza sul campo. Pensa quanto è assurdo il nostro paese, questo ragazzo qualche anno fa ha rischiato di fare un film con gli americani e da noi ancora non è riuscito a trovare un modo per emergere. Il progetto, da quando abbiamo iniziato a lavorarci assieme ha visto una sua evoluzione e articolazione in un progetto transmediale di più ampio respiro. Mi rendo conto che per molti italiani questa parola non vuol dire nulla, ma per il resto del mondo, soprattutto per gli americani guarda caso, è attualmente una nuova forma di apertura del ventaglio delle revenue di un progetto cinematografico che va, in forme e contenuti diversi, a coinvolgere tutti i media (o quasi) esistenti.
6. Perchè secondo te è il momento di puntare sul transmedia? quanto il transmedia può risollevare le sorti del cinema? E soprattutto perchè ci credono in pochi in Italia secondo te?
Come dicevo poco fa, oggi il mondo dei new media è una realtà, basti pensare che ognuno di noi si collega ogni giorno e più volte al giorno su un computer per lavorare, ma anche per fare video chiamate con i parenti e amici in un latro continente, per leggere notizie, per vedere le puntate della nuova stagione della serie tv preferita ecc. Allora la domanda è perché se tutto questo esiste piuttosto che combatterlo come un nemico non sfruttarlo con un nuovo spazio di mercato all’interno del quale collocare i propri prodotti? Bene chi lo ha capito, ha fatto bingo, non per essere retorici ma anche qui gli americani stanno facendo da padroni. In più il proporre prodotti che hanno una radice comune ma che prendo forme e contenuti diversi a seconda del media permette di raggiungere diversi target di pubblico riuscendo però a fidelizzarli al progetto “madre” quindi a creare un “audience” che seguirà il progetto là dove magari si deciderà di creare una serialità, in più permette di brandizzare il marchio…insomma di credere e investire su diverse forme e tecnologie che non limitano la creatività ( e in alcune circostanze “l’arte) ma semplicemente creano nuovi spazi in cui poterla liberare e collocare. In Italia non ci si crede perché, lasciami essere un po’ vana le e retorico, è “un paese per vecchi”, c’è molta ignoranza della classe dirigente e in più essendoci un gap generazionale così marcato nel nostro paese tra la generazione dei sessantenni e quella dei trentenni/ventenni di oggi che non permetterebbe a chi è al potere politico ed economico di comprendere gestire (e sfruttare) questa realtà, il che significherebbe doversi fare da parte e lasciare che chi ne ha le competenze e le capacità possa generare un nuovo sviluppo e una nuova economia, almeno in questo settore. Torniamo sempre lì, il problema è culturale.
7. Il tuo film preferito di tutti i tempi?
Qua mi metti in crisi, è come chiedermi l’attore preferito. Fammici pensare un minuto… Allora facciamo così uno internazionale e ti dico “Dracula di Bram Stoker” diretto (e prodotto) da Coppola, per la sua spettacolarità, per i costumi, la scenografia, la fotografia e il cast strepitoso…un film a cui veramente mi sarebbe piaciuto lavorare…anche come l’ultima ruota del carro, ma solo per avere la possibilità di essere su quel set.
L’altro italiano e ti dico “Un borghese piccolo piccolo” diretto dal grande Monicelli e basato sul romanzo omonimo di Vincenzo Cerami. Un film amaro che fa un ritratto della nostra società che se de-contestualizzato dal momento storico della narrazione ha ancora oggi delle connotazioni attuali. Monicelli è uno di quei registi italiani che ha sempre saputo guardare prima di raccontare.

8. Se avessi potuto scegliere di lavorare con un produttore del passato chi avresti scelto?
Domanda difficile, anche qui lasciami due opzioni.
Ponti, perché credo che dei produttori del passato sia quello che aveva capito il potenziale industriale, di business intrinseco della natura di un film cercando con le sue produzione di mettere in atto un processo industriale.

E l’altro è Dino De Laurentis il quale tra le altre cose ha avuto per un periodo di tempo una collaborazione con Ponti, se non ricordo male avevano creato anche una società assieme con la quale produssero grandi capolavori come “Le notti di Cabiria”. De Laurentis anche perché fu uno dei primi a voler aprire le sue produzioni ad autori internazionali e perché nel suo scegliere i progetti non metteva mai in secondo piano la dimensione artistica a discapito di quella del business. Purtroppo due bravi produttori che oggi tanto mancano al nostro cinema.

9. Descriviti in una frase rispetto al tuo lavoro

Il cinema è la fabbrica dei sogni, e io da sognatore spero un giorno spero di poter essere “un fabbricante di sogni”